Cinema

“SALVO” di Antonio Piazza e Fabio Grassadonia

Vincitore del ‘Grand Prix’ e del ‘Prix Révélation’ alla 52° “ Semaine de la Critique ” a Cannes, il film d’esordio “Salvo” dei registi palermitani Antonio Piazza e Fabio Grassadonia stupisce per la bellezza delle immagini, per le impeccabili scelte tecniche e per i giochi di rispecchiamento che instaura con il pubblico. Il film, prodotto da Massimo Cristaldi e Fabrizio Mosca con l’aiuto essenziale di finanziamenti francesi, scorre come una corrente anomala e folgorante rispettole strade convenzionali che il cinema oggi forse troppo spesso segue. E’ stato girato a Palermo e nelle campagne, tra Enna e Caltanissetta in una miniera indisuso vicino Villarosa con l’aiuto di brave e competenti maestranze siciliane. Protagonisti sono Salvo (l’attore palestinese Saleh Bakri) , un killer di mafia che difende il suo boss e Rita (la bravissima attrice esordiente Sara Serraiocco), una ragazza cieca dalla nascita e sorella di un mafioso. Il primo, con due occhi calcolatori e taglienti, di ghiaccio. La seconda, con due enormi occhi a mandorla,profondi e cigliati, che si muovono nervosamente in cerca di qualcosa, della luce,di una speranza. Il film si apre con le sequenze cruente e ansiogene di un agguato criminale,durante le quali non vi è nemmeno il tempo di riprendere fiato. I tonfi secchi degli spari scuotono l’aria soffocante di una Palermo livida, stravolta, rovente,crivellata da un silenzio ineluttabile e tacita complice di tragedie quotidiane. Ma la spietatezza della luce, delle armi e delle pozze di sangue è d’improvviso alleviata dalla visione di Rita, che non si accorge all’inizio della presenza del killer dentro casa sua con ’intenzione di uccidere il fratello. Il gangster movie sfuma allora nelle tinte del noir, introducendo la macchina da presa e gli spettatori nel mondo di Rita, nella sua routine quotidiana e tragica, nel suo antro segreto e lontano, sensoriale. Sono splendide e conturbanti le lunghe sequenze durante le quali Salvo si aggira non visto nell’appartamento buio e afoso dove abita Rita. La durezza del suosguardo è scalfita dalla tremante canzone dei Modà e di Emma “Arriverà”canticchiata dalla ragazza , che poi costituirà l’intera colonna sonora del film. La canzone piove come una poesia inaspettata, un rivolo struggente e fioco di voce umana in un buio che eclissa tutto e lenisce ferite. Non appena Rita percepisce il corpo di Salvo in casa, la mano insanguinata di lui sfiora il viso di lei, facendole riacquistare la vista per lo choc di fortissime emozioni. Un flash convulso di forme appanna i suoi occhi, che intravedono spiragli di luce. Il contatto con quel corpo estraneo la salva, traendola fuori dalle tenebre della sua esistenza, dove nonostante tutto, si faceva forza per sopravvivere. I due staranno in un magazzino abbandonato, isolati dal mondo e forse finalmente completi. Durante la proiezione, gli spettatori in sala percepiscono gli stessi suoni che sente Rita, le colluttazioni ansimanti e il corpo a corpo mortale tra Salvo e il fratello, il rombo di marmitte di motorini fuori, rumori ambientali, il fruscio del vento, gli scontri a fuoco all’esterno di una fabbrica dismessa, rumore di ferraglie di catene. E’ infatti il ricamo sonoro che riveste nel film un ruolo pregnante. I registi tessono una trama di rumori, cigolii, urti, sfregamenti, sussurri, le urla strazianti e quasi animalesche di Rita, attraverso cui la percezione della ragazza cieca e quella degli spettatori in sala finiscono col coincidere. “Salvo” è una storia fatta di sguardi e riverberi di sguardi nel fondo dell’anima, di sguardi visti e “sentiti”, di volti che chiedono soltanto di essere compresi e amati. E’ una storia che parla di cecità fisica, quella di Rita, e cecità morale, quella di Salvo. Antonio Piazza così commenta il film: “Io e Grassadonia siamo entrambi di Palermo, e lì ti viene insegnato a non vedere e a cercare di vivere come se si fosse in una città normale. Ora puoi scegliere di non vedere, ma se scegli di vedere tutto si complica” .E aggiunge : “Abbiamo girato nei mesi più caldi dell’est ate siciliana per evidenziare in maniera impalpabile, fisica, la difficoltà del vivere quotidiano. Volevamo cogliere una particolare atmosfera all’interno della quale immergere i nostri personaggi, un’atmosfera che non fosse solo pura cornice fotografica. Un’atmosfera pesante, appiccicosa, malata che contribuisce a dar forma alle anime che attraversano la nostra storia”. Il merito maggiore del film è quello di ritrarre una Sicilia lontana dagli stereotipi. Il film si allontana infatti da certi ammorbanti clichés sulla Sicilia tutti “colori e dialetto” che certe mitologie letterarie e televisive di oggi propinano, dando concretezza ad alcune figure tipiche come il killer di mafia non scadendo mai neldéjà-vu. E’ una Sicilia accartocciata, carceraria, spettrale e radioattiva, ossidata, quella chela magistrale fotografia di Daniele Ciprì dipinge. “Salvo” è una pellicola d’autore accecante, abissale, visionaria, struggente. Immerge in un paesaggio zigrinato ed epico, che emana una luce sinistra. Ma da cui filtra come attraverso i ricami di vecchie tapparelle – la luce di una rigenerazione, la malìa tutta cosmica e terrestre di due anime che si trovano e si fondono, nel gelo del destino individuale. “Crediamo nell’incontro tra due esseri umani” – aggiungono i registi da cui può scattare una scintilla, un bisogno, una necessità di libertà da vivere e incarnare sulla propria pelle, anche a costo di sfidare il mondo al quale si appartiene”. Nel ruolo dei piccolo-borghesi grotteschi Enzo e Mimma Puleo che coprono il killer, compaiono Giuditta Perriera e Luigi Lo Cascio. Con magistrale leggiadria ed espressività, la giovanissima Sara Serraiocco manifesta il dramma profondo di una ragazza non vedente e imprime tutta la sua bravura, coinvolgimento emotivo e freschezza in un ruolo sicuramente non facile, perché Salvo, carnefice del fratello, la turba e la rassicura nello stesso tempo. E in questo strano rapporto, il film si chiude con la visione dei due protagonisti, sdraiati davanti al mare, si sfiorano le mani, lasciando aperte tutte le ipotesi.

Rosalinda Occhipinti